LA COABITAZIONE POST-SEPARAZIONE NON EQUIVALE A RICONCILIAZIONE

A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e dell’Avv. Alessandro Cocola. 

Forse non tutti sanno che il legislatore italiano, oltre ad aver disciplinato la separazione e il divorzio, ha anche preso in considerazione l’eventualità che i coniugi separati decidano di riconciliarsi, così ricostituendo quell’unione materiale e spirituale propria del legame matrimoniale.

Trattasi di un’ipotesi non infrequente nella pratica, a cui il Codice civile attribuisce effetti giuridici ben precisi.

Infatti, l’art. 154 c.c., stabilisce che la riconciliazione comporti l’abbandono della domanda di separazione già proposta.

Sotto un altro profilo, l’art. 157 c.c. prevede che in ipotesi di riconciliazione, la domanda di separazione possa essere riproposta solo per fatti nuovi.

La giurisprudenza si è interrogata sul significato da attribuire al termine “riconciliazione”, ossia se esso stia ad indicare un semplice ripristino della coabitazione tra i coniugi, oppure necessiti di un rinnovo della comunione materiale e spirituale tra i coniugi.

La tesi che è prevalsa è senza dubbio la seconda.

Per tale motivo, la Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 2360del 5 febbraio 2016, richiamando l’orientamento di cui alla pronuncia n. 19535 del 17 settembre 2014, ha stabilito che la semplice ripresa della coabitazione tra coniugi separati non sia di per sé sufficiente a dimostrare l’avvenuta riconciliazione.

 

IL CASO

Successivamente alla separazione, i coniugi F.M.G. e T.A. avevano ripreso a coabitare.

Malgrado ciò, il Sig. T.A. aveva proposto domanda di divorzio nei confronti della moglie per sentire dichiarare lo scioglimento del loro matrimonio.

La Sig.ra F.M.G. aveva resistito in giudizio, sostenendo che la ripresa della coabitazione tra i coniugi fosse indice inequivocabile della loro avvenuta riconciliazione e, per tali motivi, chiedeva il rigetto della domanda di scioglimento del matrimonio.

Il Tribunale non aveva accolto le argomentazioni della moglie e così anche la Corte di Appello di Torino, che aveva confermato la sentenza di primo grado, stante il difetto di prova, da parte della Sig.ra F.M.G. dell’avvenuta riconciliazione con il marito.

Quest’ultima, infatti, si era limitata a provare la ripresa della coabitazione tra i coniugi, ma non la ricostituzione di quella comunione materiale e spirituale necessaria ai fini della riconciliazione.

La donna, quindi ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando presunte violazioni di legge da parte della Corte territoriale, per avere rigettato le sue domande e non aver riconosciuto l’intervenuta riconciliazione tra moglie e marito.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Sig.ra F.M.G. dettando un principio di diritto ormai consolidato.

 

DIRITTO

La Suprema Corte, richiamandosi a precedenti orientamenti di legittimità, ha ribadito il principio secondo cui: “La mera coabitazione non è sufficiente a provare la riconciliazione tra coniugi separati essendo necessario il rispristino della comunione di vita e d’intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale. (Nella specie, la corte territoriale aveva escluso la riconciliazione per la presenza di comportamenti, anche processuali – la proposizione di domanda riconvenzionale di addebito formulata dal ricorrente in primo grado – ostativi al ripristino, tanto più che la dedotta coabitazione era rimasta sfornita di allegazione di fatti probanti e di deduzione di mezzi istruttori idonei a corroborarla).

In aggiunta a quanto già espresso dalla Corte, con i ricordati principi, va poi precisato che i motivi della coabitazione (oggi frequenti per la notoria caduta dei redditi, accentuatasi in ragione della crisi economica del Paese), sono sicuramente non decisivi ai fini della prova che, tuttavia, può porre anche la loro menzione nel tragitto finalizzato all’accertamento del complessivo comportamento delle parti nel periodo di separazione per il compimento dello scrutinio dell’avvenuto ripristino della comunione materiale e spirituale dei coniugi, fondamento del vincolo”.

Il principio dettato dalla giurisprudenza è significativo ed ha una portata molto ampia.

Spesse volte, infatti, si tende a confondere la ripresa della coabitazione tra coniugi separati con la ricostituzione del nucleo familiare.

Il confine non è così sottile, in quanto la mera condivisione di uno spazio abitativo non comporta automaticamente e necessariamente il ripristino della comunione di intenti che caratterizza il matrimonio, ma può, ad esempio, dipendere da ragioni di carattere puramente economico, fiscale o di convenienza.

Perché sussista riconciliazione, quindi, la giurisprudenza richiede la sussistenza di altri fattori, che possono essere provati con ogni mezzo: sia per mezzo di testimoni – che ad esempio abbiano visto i coniugi scambiarsi effusioni amorose – sia a mezzo di documenti scritti – qualora i coniugi separati abbiano firmato un documento da cui risulti la loro volontà di riconciliarsi –.

La riconciliazione non è un fattore di poco conto, in quanto produce effetti degni di nota:

  • riprendono vigore i diritti e i doveri coniugali e cessa l’obbligo di corrispondere il mantenimento;
  • la domanda di separazione si dà per abbandonata se il giudizio di separazione è ancora in corso;
  • S
  • si interrompe il termine di un anno (o sei mesi) per proporre giudizio di divorzio;
  • si ricostituisce la comunione legale tra coniugi (se trattasi del regime patrimoniale scelto durante il matrimonio).

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